L’aperitivo è un rito che mi appartiene poco, ha, però, un che di affascinante a guardarlo da fuori. E’ la somma di tanti movimenti psico-espressivi che si sommano, somigliano, ma che restano tutti originali e differenti. L’incontro, l’amalgama rituale confusamente ordinata di tante persone diverse, che esprimono se stesse in ciò che dicono e fanno.
La mani che stringono le mani, quelle grandi, quelle più piccole, diafane e scure. Strette gagliarde e deboli prese. I sorrisi, i volti, i nomi che non ricorderai.
I suoni, le voci, quelle conosciute, quelle riconoscibili, quelle straniere.
I ragazzi alti, quelli piccolini, gli occhi guardano, si sgranano curiosi, sbirciano maliziosi, si voltano annoiati.
Un complimento inatteso, i racconti di un viaggio, i mestieri strani e quelli ordinari.
Le parole, l’ascolto, la scoperta di chi prima non esisteva e poi c’è. Le parole, le parole, tutte le parole dette e ascoltate, percepite a metà, volate le une sulle altre, quelle intuite, quelle straniere, le espressioni ironiche, quelle forbite, i modi di dire, le esclamazioni colorite e quelle sconosciute.
Un sorriso, un assaggio , un profumo, uno sguardo. Volano ore. Poi mani che stringono mani e un saluto affettuoso a chi prima non conoscevi e poi c’è.
I ragazzi dell’aperitivo se ne vanno a tarda notte tutti insieme, voci, suoni, colori, profumi, parole, parole, sorrisi. La festa si consuma come un bastoncino di stelline a capodanno che subito ne vuoi un altro, che sembra chissà che, ma poi è subito finito, però ti ha messo allegria e sei pronto a ricominciare.